L’umanità globale è stata attraversata da eventi la cui portata, per quantità e qualità, non ha pari probabilmente dalla fine della Seconda guerra mondiale. 77 anni densi di eventi ma per incidenza probabilmente nessuno pari al combinato disposto del Covid e dello scatenamento di una guerra sul suolo europeo. Due vicende aperte di cui al momento, nonostante varie e diverse previsioni, non si vede la fine. Non sembri azzardato e irriverente l’accostamento ma di fronte a questi potenti scossoni collettivi c’è un’abitudine italiana che persiste invariata, verrebbe da dire nei secoli nei secoli, senza lasciar intravedere alcuna forma di possibile cambiamento.

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L’Italia per definizione si blocca ad agosto. Il Paese va in ferie quando l’estate sta finendo per un’abitudine sovrastrutturale che, quanto meno, dovrebbe realisticamente fare i conti con la crisi e con un cambiamento climatico che ha avviato la stagione più calda dal 15 maggio in avanti, ha proposto i giorni più lunghi a giugno, una continuità di sole senza precedenti a luglio. Eppure, in parallelo alla nazione industriale che non c’è più faremo i conti con la classica chiusura, calendario alla mano, 8-28 agosto. Badate bene, in quelle date non chiude solo la Fiat (che non c’è più, rimane la sua pallida svalutata ombra, Stellantis). Vanno in vacanza tutti insieme commercialisti, dentisti, notai pizzicagnoli, idraulici, elettricisti, lasciando l’utenza in balia di se stessa. Sembra di ripercorrere e rivivere il titolo di un fortunato titolo-adagio di un libro di Achille Campanile: «Agosto, moglie mia non ti conosco». In questa invarianza si cela la fotografia di un Paese immobile, inerte nelle sue abitudini surrettizie, non omologato a una diversa realtà.

Eppure, su un piano commerciale, un professionista che decidesse di rimanere a lavorare ad agosto incapperebbe in una solida clientela perché le grandi città non si svuotano più come una volta. Con il caro benzina, il caro-aerei, il caro-treni gli italiani fanno le vacanze a pizzichi e bocconi e per la legge della concorrenza si potrebbe mettere a frutto una sorta di intelligenza esclusiva, rimanendo aperti, rispetto alla pigra e immutabile concorrenza.

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Oltretutto il disimpegno da una vacanza così concentrata provocherebbe quanto meno un calo dei prezzi. Ci sono viaggi organizzati che sotto Ferragosto, chissà perché (è il classico serpente che si morde la coda) costano il triplo rispetto ad altri periodi. Ovviamente la molla del cambiamento non scatta da sola ma qui non c’è alcun segno di potenziale ravvedimento ed inversione di tendenza nonostante che l’inizio delle piogge ad agosto potrebbe far pensare al progressivo decadimento dell’estate. Contro gli sprechi, l’inflazione, l’innalzarsi dei costi, il decentramento vacanziero si proporrebbe come un piccolo ma necessario incentivo per il miglioramento. E non siamo profeti se ne parliamo a luglio perché tutto è già stato avviato in tal senso nell’estate del 2022, succeda quel che deve succedere.

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