Ernesto Guevara de la Serna (1928-1967) era argentino. Più conosciuto con il nomignolo “Che”, per la abitudine degli argentini di intercalare le frasi con questa espressione, si usa nel parlato quotidiano per richiamare l’attenzione, per marcare una propria frase. Nel 1955 a Città del Messico, dove lavorava come allergologo, era laureato in medicina, incontrò Fidel Castro, che gli propose di unirsi al movimento rivoluzionario cubano in qualità di medico e da lì nacque tutto. La sua vita, i suoi viaggi in moto, una vecchia Norton chiamata “La Poderosa”, attraversando tutta l’America Latina, sono conosciuti da tutti, lì si formò il suo ideale libertario, di vicinanza e supporto ai poveri, agli ultimi, vide le miserie della sua terra e decise la strada da percorrere.

Foto libera da Pixabay

Da giovane aveva studiato molto e letto tantissimi autori, che lo formarono, tra cui Pablo Neruda, John Steinbeck, Émile Zola, ma anche di psicologia come Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. Lo appassionò la vita e la dottrina del Mahatma Gandhi, un po’ il suo eroe, oltre ovviamente le opere di Engels e Karl Marx, Federico García Lorca e Paul Verlaine. Tutto contribuì a formare un suo ideale di vita, di politica, di libertà dei popoli, ma anche il suo antimilitarismo e antiimperialismo. Questo insieme di influenze e di vita, anche vissuta sulla strada, rappresentarono una svolta nella vita di Ernesto, portandolo sempre più a interessarsi alle questioni politiche. L’aver visto e per certi vissuto la povertà delle masse, i bisogni essenziali degli ultimi, oltre alla lettura delle teorie marxiste, lo portarono a considerare che solo la rivoluzione avrebbe potuto risolvere le disuguaglianze sociali ed economiche dell’America Latina, che ideò non come un insieme di nazioni ma una sola entità, un intero continente, bisognoso di una strategia dal vasto respiro. Immaginò una America “spagnola”, legata da un’unica lingua e cultura, libera dove il popolo avrebbe gestito la propria vita e curato gli interessi, costruito il proprio futuro. La figura di Guevara ha suscitato grandi passioni sia in suo favore sia contro, ma dopo la sua morte è divenuto un’icona dei movimenti rivoluzionari di sinistra, dei giovani di tutto il mondo, della libertà, idolatrato oltre che dagli stessi cubani anche da tutti quelli che si riconoscevano nei suoi ideali.

La fotografia/ritratto di Che Guevara, denominata “Guerrillero Heroico” fu scattata da Alberto Díaz Gutiérrez, meglio noto come Alberto Korda, nel 1960 a l’Havana ma non subito, solo tempo dopo la sua morte divenne una delle immagini più famose e riprodotte al mondo, su manifesti, magliette, ovunque. Una curiosità: fu pubblicata a Cuba su qualche giornale, per l’esegesi di Castro e della rivoluzione, ma rimase praticamente semisconosciuta per i successivi sette anni. Nel giugno 1967 l’editore milanese Giangiacomo Feltrinelli andò a L’Avana, lì incontrò Alberto Korda nello studio del fotografo e lui gli regalò, non volle nulla, un paio di foto. Al ritorno in Italia, in fase di stampa del libro “Diario in Bolivia” di Ernesto Guevara, proprio questa foto fu usata per la copertina, contemporaneamente l’editore decise di stampare numerosi manifesti con la stessa immagine, riempiendo Milano in quel momento come promozione del volume, la morte del Che in ottobre fece il resto. La storia ci racconta che nella prima metà del 1965 lasciò Cuba per attuare la rivoluzione socialista in altri Paesi, oppressi da dittature militari, seguendo i suoi ideali di libertà, convinto che solo con la rivoluzione si sarebbero liberati i popoli, prima nell’ex Congo belga (poi Repubblica Democratica del Congo), dopo in Bolivia.

L’8 ottobre 1967, a La Higuera (dipartimento di Santa Cruz, Bolivia), fu ferito e catturato da un reparto dell’esercito boliviano, con forze speciali statunitensi antiguerriglia, guidate da agenti speciali della CIA. Da quando aveva deciso di alzare il grido degli oppressi boliviani, sotto dittatura, creando un campo base per l’addestramento dei contadini e dei volontari boliviani, era stato controllato e seguito, dall’esercito ma sicuramente tradito da delatori. Forse sbagliò anche alcune valutazioni, non ricevette assistenza dagli oppositori del regime, il partito comunista boliviano era anti-Cuba, il governo statunitense inviò quasi subito truppe speciali e rangers esperti di contro guerriglia.

Foto pubblico dominio da wikipedia.org

Fu così che il giorno successivo, il 9 ottobre, venne giustiziato sommariamente e mutilato delle mani nella scuola del villaggio. Anche la foto del suo cadavere fece il giro del mondo, con gli occhi aperti, esposto al pubblico a Vallegrande, divenne una icona, ricordando con la posizione distesa l’opera di Andrea Mantegna il “Cristo morto”. Io ricordo, ero alle medie, che arrivarono di corsa dal vicino Liceo, dove poi avrei studiato, dei compagni, spalancarono le porte delle classi e urlavano la notizia. Eravamo ragazzini, capimmo poco, ma devo alla nostra insegnate di italiano, presente al fatto, una persona eccezionale di cui ho un ricordo speciale, una spiegazione di tutta la storia, interruppe la lezione e ci raccontò.

La canzone sicuramente più famosa è “Hasta siempre”, dedicatagli dal compositore cubano Carlos Puebla nel 1965, che nacque come una risposta alla lettera di addio a Cuba scritta da Guevara lo stesso anno, in cui questi riaffermava la sua solidarietà con Cuba, ma dichiarava anche la sua intenzione di abbandonare l’isola e di andare a combattere altrove per la Rivoluzione, raccontando nel testo le fasi salienti della sua vita e lotta a Cuba, come l’invasione della Sierra Maestra, la Battaglia di Santa Clara, e poi ancora l’amore del Che per la Rivoluzione. La canzone subito divenne un inno mondiale, più di duecento cantanti la interpretarono e ancora oggi è dovunque a Cuba e non solo.

“Francesco Guccini Live in Torino” by Maxfear ® is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.

Io voglio invece ricordare una altra canzone, scritta in due momenti da Francesco Guccini, nato nel 1940 a Modena, ovvero “Stagioni”, nell’album omonimo del 2000. In una intervista dirà: “É una canzone nata nel 1967, poco dopo la morte del Che. Avevo scritto una piccola strofa, che poi era rimasta lì. Quasi per gioco durante un concerto, come sai, io interrompo spesso i brani per parlare con il pubblico, avevo visto un gruppo di ragazzi con la maglia del Che, e così ho pensato di dedicargli quella strofa: è venuto giù il Palasport. Tutti mi hanno detto che non sarebbe stato male finire la canzone. É stata dura: sono dovuto tornare indietro con un lungo flash-back, creando un parallelo tra quella generazione e questa.”

E allora riascoltiamola, riflettiamo su ogni strofa, veramente un flash-back anche delle nostre vite, nel suo stile scrive strofe che sono momenti di vita, appunto stagioni della nostra esistenza, istanti di gioventù, sensazioni, ricordi di vita vissuta, pensieri e dubbi:

Quanto tempo è passato da quel giorno d’autunno
Di un ottobre avanzato, con il cielo già bruno
Fra sessioni di esami, giorni persi in pigrizia
Giovanili ciarpami, arrivò la notizia

Ci prese come un pugno, ci gelò di sconforto
Sapere a brutto grugno che Guevara era morto
In quel giorno d’ottobre, in terra boliviana
Era tradito e perso Ernesto “Che” Guevara

Si offuscarono i libri, si rabbuiò la stanza
Perché con lui era morta una nostra speranza
Erano gli anni fatati di miti cantati e di contestazioni
Erano i giorni passati a discutere e a tessere le belle illusioni

Che Guevara era morto, ma ognuno lo credeva
Che con noi il suo pensiero nel mondo rimaneva
Che Guevara era morto, ma ognuno lo credeva
Che con noi il suo pensiero nel mondo rimaneva

 Passarono stagioni, ma continuammo ancora
A mangiare illusioni e verità a ogni ora
Anni di ogni scoperta, anni senza rimpianti
Forza Compagni, all’erta, si deve andare avanti

E avanti andammo sempre con le nostre bandiere
E intonandole tutte quelle nostre chimere

In un giorno d’ottobre, in terra boliviana
Con cento colpi è morto Ernesto “Che” Guevara

Il terzo mondo piange, ognuno adesso sa
Che “Che” Guevara è morto, mai più ritornerà

Ma qualcosa cambiava, finirono i giorni di quelle emozioni
E rialzaron la testa i nemici di sempre contro le ribellioni

Che Guevara era morto e ognuno lo capiva
Che un eroe si perdeva, che qualcosa finiva
Che Guevara era morto e ognuno lo capiva
Che un eroe si perdeva, che qualcosa finiva

 E qualcosa negli anni terminò per davvero
Cozzando contro gli inganni del vivere giornaliero
I Compagni di un giorno o partiti o venduti
Sembra si giri attorno a pochi sopravvissuti

Proprio per questo ora io vorrei ascoltare
Una voce che ancora incominci a cantare

In un giorno d’ottobre, in terra boliviana
Con cento colpi è morto Ernesto “Che” Guevara

Il terzo mondo piange, ognuno adesso sa
Che “Che” Guevara è morto, forse non tornerà

Ma voi reazionari tremate, non sono finite le rivoluzioni
E voi, a decine, che usate parole diverse, le stesse prigioni

Da qualche parte un giorno, dove non si saprà
Dove non l’aspettate, il “Che” ritornerà
Da qualche parte un giorno, dove non si saprà
Dove non l’aspettate, il “Che” ritornerà

 

Foto di apertura di Alberto Korda – Museo Che Guevara, Havana Cuba, Pubblico dominio da commons.wikimedia.org