Quante volte abbiamo cantato, magari urlato, “We shall overcome”, nelle marce contro la guerra, nei cortei per il diritto al lavoro, nelle assemblee dei licei e per la strada nelle manifestazioni femministe, nella speranza di un mondo migliore, e oggi sono sessant’anni…e ancora dobbiamo cantarla a squarciagola.

Martin Luther King – Foto pubblico dominio da wikipedia.org

Una canzone così celebre da essere ritenuta da tutti di autore anonimo, una canzone popolare, famosa tra l’altro in quanto “inno” del movimento per i diritti civili di Martin Luther King, nel 1963, ma l’autore Pete Seeger, si ispirò a uno spiritual afro, un gospel, dell’inizio del diciannovesimo secolo, dal titolo “No More Auction Block for me” (ovvero qualcosa tipo: “Non mettetemi più all’asta”, un titolo che parla da solo, nato anche da uno sciopero a Charleston, South Carolina nel 1946, dove i dipendenti dell’American Tobacco Company  per lo più donne afro-americane, stavano cantando degli inni durante una manifestazione e un picchetto per migliori condizioni di lavoro. Sembra passato un secolo, ma ben poco è migliorato, stiamo vivendo una stagione della nostra vita piena di atrocità, guerre e guerriglie, nulla è cambiato, ma rimane, deve rimanere la spinta, il desiderio, la necessità di urlare: “In un modo o in un altro noi vinceremo!”

Joan Baez alla marcia per i diritti civili a Washington (1963) – Foto pubblico dominio da wikipedia.org

In breve si diffuse come un inno dei sindacati afro-americani nel sud degli Stati Uniti e dell’attivismo per i diritti civili, ma soprattutto dal 1963, la canzone fu interpretata da Joan Baez che la registrò e la cantò in numerose marce per i diritti civili, cantata dagli operai agricoli negli Stati Uniti in spagnolo durante gli scioperi e i boicottaggi per l’uva verso la fine degli anni ’60. Fu poi cantata anche in Sud Africa durante gli ultimi anni del movimento anti-apartheid, per finire con l’India, dove la traduzione letterale in hindi “Hum Honge Kaamyab / Ek Din” divenne una canzone patriottica negli anni ’80 e cantata ancora oggi. Un inno nato con spirito religioso si è trasformato in una canzone di lotta, e adesso la canzone di lotta diventa ancora più canzone di inclusione: io, noi due, tutti, ce l’abbiamo fatta fin qui, e ce la faremo ancora, dobbiamo! Diamo voce ai sogni e alla volontà di cambiamento. “We shall overcome someday”, noi trionferemo un giorno, era il 28 Agosto 1963 e Joan Baez canta davanti a un milione di persone su un podio davanti al Lincoln memorial per la marcia su Washington D.C., con il discorso sul “sogno” di Martin Luther King, per l’inizio di una nuova stagione democratica, l’inizio di un cammino, purtroppo lungo, verso l’uguaglianza. Fu un lunghissimo anno negli Stati Uniti, in effetti per il mondo, con battaglie per i diritti civili e culminato appunto quel giorno a Washington, con un lungo corteo guidato dal pastore protestante Martin Luther King passato alla storia come la “marcia per il lavoro e la libertà”, Circa 250.000 persone, con almeno 50.000 afroamericane, si radunarono per celebrare il Proclama di Emancipazione di Lincoln, con la stretta di mano tra John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King e il celebre “I have a dream”. E all’ inizio del corteo c’erano anche Bob Dylan e Joan Baez, attorniati per permettergli di suonare, ma anche per schermarli, col rischio che fossero arrestati.

Però come in tutti i sogni ci sono gli incubi: nel 1968 il reverendo King viene assassinato, ucciso da un colpo di fucile a Memphis, inizia una reazione violenta dei neri in tutta l’America dopo la notizia dell’assassinio. Il candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti Robert Kennedy si reca la sera stessa dell’omicidio nel ghetto nero di Indianapolis. Fu l’unico uomo bianco a parlare al dolore e alla rabbia dei neri, ma anche quel sogno democratico fu infranto pochi mesi dopo. Assassinato, anche lui.

E allora urliamolo questo inno, rigorosamente in lingua originale, stringendoci a tutti quelli che soffrono fame, ingiustizie, privazioni, alle donne che soffrono in Iran e a quelle che aspettano i mariti in Ucraina, ma anche in Russia, alle famiglie disperate dell’America Latina e dell’Armenia, a tutti i bambini e donne ed adulti che hanno perso sorriso e speranza per le follie di mille “signori della guerra”:

 We shall overcome

We shall overcome

We shall overcome some day

Oh deep in my heart

I do believe

We shall overcome some day

We’ll walk hand in hand

We’ll walk hand in hand

We’ll walk hand in hand some day

We shall all be free

We shall all be free

We shall all be free some day

We are not afraid

We are not afraid

We are not afraid today

We are not alone

We are not alone

We are not alone today

The whole wide world around

The whole wide world around

The whole wide world around some day

We shall overcome

We shall overcome

We shall overcome some day

Foto di apertura pubblico dominio da wikipedia.org: Vista della marcia dal Lincoln Memorial verso il monumento a Washington