E ancora siamo contornati da guerre, non solo l’Ucraina, che per assurdo ci ha reso consapevoli, per la sua vicinanza, di quante ce ne sono nel mondo, più o meno vicine, legate ad appartenere a una razza, ancora questa parola!, a una religione, ad appartenere a una popolazione o ad un’altra, a una tribù, a vestirsi o meno in un certo modo….

Allora il pensiero va a cento e oltre anni fa, a una altra guerra, la Grande Guerra, come la chiamavano i nostri genitori.

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In quel contesto, che separò culturalmente l’Italia: da una parte chi voleva l’entrata in guerra, dall’altra chi credeva fosse più giusto mantenere una posizione neutrale, un poeta romano, Carlo Alberto Salustri, in arte il cognome era anagrammato in Trilussa, anche scrittore e giornalista, particolarmente noto per le sue composizioni in dialetto romanesco, urlò, non scrisse, una invettiva antimilitarista, pacifista, che verrà cantata anche in trincea, sulle note di una vecchia e anonima ballata piemontese, perché poi purtroppo la guerra ci coinvolse. Trilussa (Roma 1871 – 1950) era apprezzato dal popolo, dalla borghesia e dall’aristocrazia della capitale, ma anche temuto dal mondo politico per altre sue composizioni. Quasi subito il testo della poesia fu pubblicato dai giornali socialisti piemontesi, ne parlò Antonio Gramsci sul giornale e una nota di Palmiro Togliatti ne confermò l’ampia diffusione a partire dal 1917. In tempi più recenti è stata recitata da Gigi Proietti e messa in musica da Claudio Baglioni, ma per me, penso per tutti rimane una dolce e al contempo atroce ninna nanna.

La sua “La ninna nanna de la guerra” rappresenta una dura invettiva contro la guerra e le scelleratezze che comporta, una ninna nanna che critica in modo feroce la guerra, ma al contempo con parole dolci, cantate da una mamma e comprensibili, seguendo la voce e la nenia anche da un bimbo. Il poeta usa immagini crude e realistiche per un adulto, non solo per i politici e chi vuole questa guerra, ma anche per una mamma e un bambino che ascolta la sua voce, che lo culla.

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Il testo però è rivolto anche a tutti i cittadini che si fanno ingannare e quasi contenti accettano di entrare nel conflitto, senza rendersi conto che ciò è un mezzo sbagliato, che porta solo a sofferenza e distruzione e non consente ai bambini, e anche alle loro mamme, di poter dormire serenamente. Anche i nostri pensieri vanno a chissà quante mamme che in tante zone del mondo, in fuga da un abominio o in una capanna, provano a far addormentare il loro bambino, tra rumori, boati, corse, fuoco e tanto altro. Rileggiamola insieme a distanza quasi di un secolo. Ci accorgeremo quanto l’analisi fosse precisa e purtroppo ancora attuale. Qualunque siano le cause o le motivazioni, gli scenari, gli attori, il modo in cui queste scelte vengono percepite, la sostanza rimane sempre la stessa: non esistono giustificazioni per la guerra, ma soprattutto qualsiasi venga tirata in ballo non dobbiamo considerarla accettabile.

Per una migliore comprensione ci sono vari riferimenti a governanti o politici dell’epoca, ma nel testo vengono resi con nomi quasi poetici, per non turbare, anzi accarezzare, le orecchie del bimbo e la sua mente: Farfarello, diavolo della tradizione popolare; Gujermone, Guglielmo II di Germania, imperatore di Prussia e Germania, fra i principali responsabili dell’inizio della prima guerra mondiale; Ceccopeppe, Francesco Giuseppe I d’Austria, in Italia chiamato “familiarmente”Cecco Beppe che con la sua aggressione alla Serbia avviò la guerra; sovrano macellaro: da intendersi un sovrano generico, l’aggettivo spiega tutto; Cuggini: Francesco Giuseppe e Vittorio Emanuele II di Savoia erano cugini, ma l’autore vuole intendere che più o meno tutte le monarchie d’Europa fossero imparentate in qualche modo. E per finire “Quer popolo cojone”, ovvero il popolo italiano, che non capisce o tutto sommato accetta che con e dietro la guerra ci siano grandi interessi economici, che lo coinvolgono.

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E allora, per meglio viverla questa ninna nanna, immaginiamo di essere noi quella bimba o quel bimbo in braccio alla mamma, sicuramente non attorniati dal silenzio e dal calore della nostra stanzetta, ma magari squassato su un camion in fuga, o vicino un giaciglio di paglia:

 

 

 

Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d’un impero
mezzo giallo e mezzo nero.

Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili

Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.

Chè quer covo d’assassini
che c’insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.

Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.

So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.

E riuniti fra de loro
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

Da parte mia non ho più parole.

 

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