Il populismo? Fateci caso, nella polemica elettoralistica, è sempre quello degli altri. Chi legittimamente può arrogarsi la patente di anti-populista nell’attuale arco parlamentare? Forse solo un soggetto fuori dalla mischia.
Come Monti, come Draghi anche se bisogna ricordare che il primo varò un proprio partito, naufragato alla prima prova elettorale. Bisogna prendere atto che la politica è cambiata e che la salsa populista è in voga da quando una visione prospettiva propria dello statista è stata trasformata nel marketing delle promesse irrealizzabili in cui la ragione sociale del partito è saldata alla personalità del leader. Dunque teoricamente più carisma e meno ideologia. Si tratta di disquisire sulla qualità del carisma e qui probabilmente alla prova del giudizio un affondamento da Titanic sarebbe riservato a tutti per incomprovabile credibilità. Già metà Parlamento potrebbe essere bannato se andiamo a riprendere nome per nome tutti quelli che asseverarono con una votazione maggioritaria l’identità di Ruby come nipote di Mubarak. Tanto per fare un esempio il possibile premier Meloni, l’ex presidente di uno dei due rami Casellati e l’attuale presidente del Senato La Russa.
E cosa dire dei partiti che si lamentano dell’attuale legge elettorale senza aver mosso un dito, pur avendo tanto tempo a disposizione, per cambiarla. Nella visione di chi si sciacqua la bocca di populismo questa tendenza sarebbe attribuibile ai partiti che assecondano le pulsioni più basse dell’elettorato. Ma può essere considerata una mozione secondaria la volontà di far uscire dai canoni della povertà undici milioni di italiani?
La verità è che certi termini non si possono più usare. Se il termine “proletariato” poteva risultare credibile in bocca a Berlinguer risulterebbe assolutamente desueto in bocca a Letta ammesso che il segretario in uscita del Pd avesse mai avuto intenzione di usarlo (in realtà se ne guarda bene). Alcuni dei più grandi demagoghi della storia sono stati populisti senza che nessuno li etichettasse con questo epiteto. Possiamo scrivere con franchezza che Napoleone e Garibaldi erano populisti perché godevano di un vasto consenso popolare senza rischiare di abbracciare in questa valutazione anche Mussolini e Hitler. In realtà dunque la censura del populismo viene utilizzata da chi ne ha fatto grande uso e tende a smarcarsi per qualche voto in più.
Tutti ricordano perfettamente come il “magico” 40% di Renzi fosse legato alla concessione di un bonus non strutturale ricompensato con un ampio gradimento alle urne. Eppure questo politico in declino fa dell’anti-populismo uno dei suoi cavalli di battaglia preferiti. La politica attuale vive di piccole frenesie e di sguardi brevi. Tanto da fare abrogare un mantra: «Non moriremo democristiani». Bisogna dar atto che quella pur detestata Democrazia Cristiana fu capace di varare la legge sulla casa e sulla sanità dimostrando una capacità operativa sconosciuta a tutti i partiti attuali, che si dicano o no populisti. Questo termine è talmente abusato che verrebbe voglia di sopprimerlo per abbracciare un campo meno pregiudiziale e strumentalizzato. Un sostantivo che potrebbe fare coppia per l’obsoleta resilienza, sbandierata come antidoto quasi resistenziale durante la pandemia.
Fotocomposizione di apertura di Alessandro Coluccelli