Continuano gli sviluppi del caso delle nostre atlete della ginnastica ritmica. Ricordiamo che alcune atlete hanno accusato le responsabili dell’Accademia di Desio di aver sottoposto le giovani atlete –alcune ancora bambine- a vari tipi di vessazioni, come insulti, prese in giro, e pesatura in pubblico per leggere eccedenze nel peso.

Mi sono preso a cuore questo caso: del resto la giustizia ordinaria se ne sta occupando e quella sportiva sembra aver già presentato un rapporto.

“Nazionali Ginnastica Ritmica – 2014” di Fabrizio Morando – licenza CC BY 2.0.

La Presidenza del CONI non ha naturalmente voluto prendere alcuna posizione in questo momento, perché la responsabilità principale spetta alla Federazione della Ginnastica Ritmica, ma mi ha personalmente manifestato il suo interesse e attenzione per la vicenda.

Come era naturale si sono formati due schieramenti: quello delle ragazze che hanno denunciato i fatti, assistite da Change the Game, e quello delle atlete che hanno manifestato sostegno e solidarietà ad Emanuela Maccarani, responsabile della preparazione delle atlete al Centro di Desio.

Come ho già detto in molti scritti Emanuela Maccarani e le altre istruttrici, non sono le streghe cattive della storia, ma soltanto gli strumenti – più o meno consapevoli – della deriva dello sport agonistico che si vede un po’ in tutti i campi.

Le orride condizioni di preparazione degli atleti cinesi, forse producono medaglie, ma non hanno niente a che vedere con il senso dello sport.

Ogni educazione, compresa quella sportiva, può essere impartita con la stessa metodologia standard, con la stessa durezza, a tutti i giovani. I tradizionali metodi dei collegi inglesi applicavano a tutti gli studenti la stessa durezza, pene corporali incluse. Il risultato era che i forti diventavano fortissimi, mentre i deboli non solo venivano scartati, ma subivano tutta la vita le nefaste conseguenze di un sistema che ne aveva spesso compromesso stabilmente la mente e la psiche. In un mondo di competitività senza regole, dove contano solo successo e denaro, il fine giustifica i mezzi invece lo sport era –e dovrebbe essere- per sua natura un formidabile mezzo per educare i giovani all’impegno, alla sofferenza, e quindi alla vita.

Credo fermamente che si possa essere formati a diventare campioni senza scherno, reprimende in pubblico e altri trattamenti nocivi della psiche dei giovani, in particolare quando rischino di creare disturbi alimentari o depressione.

Una brava allenatrice è quella che sa ottenere medaglie con pazienza, affetto e sostegno, forse anche amore.

Foto di apertura libera da Pixabay