Grazie perché, con l’annuncio delle prossime dimissioni dall’incarico di Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel sta ponendo l’Europa di fronte ad una sfida, assai difficile ma anche molto, molto intrigante.

Nessun rimpianto se il nostro, per garantirsi un comodo futuro, si candida per un seggio al Parlamento Europeo, rinunciando anticipatamente ad una carica obiettivamente più importante ma che stava inesorabilmente per concludersi per lui.

Ursula von der Leyen – Foto di Etienne Ansotte, European Union, 2021 – commons.wikimedia.org

Ha fatto così male che non ne sentiremo certo la mancanza. Ci ricorderemo solo lo sgarbo di Istanbul, quando, insieme al suo degno compare Erdogan, lasciò in piedi la povera Ursula Von der Leyen. Ma lo dobbiamo oggi ringraziare perché, con la sua insipienza, in questo come in tanti altri episodi, ha dimostrato come sia inutile avere a presiedere il Consiglio Europeo qualcun altro che non sia il Presidente della Commissione Europea. Si diceva, ai tempi prima della Convenzione presieduta da Giscard d’Estaing e poi del Trattato di Lisbona, che sarebbe servito un tessitore per riannodare i fili di un negoziato permanente, una personalità autorevole e paziente capace di impacchettare ogni volta qualcosa di dignitoso dopo l’ennesima faticosa ricerca di un minimo comun denominatore tra i governi europei. No, Michel è sembrato voler interpretare il suo ruolo soprattutto come un costante tentativo di fare ombra al titolare della Commissione Europea, duplicando missioni, procedure, comunicazioni, a garanzia dei patteggiamenti intergovernativi al ribasso contro eventuali colpi d’ala di un genuino spirito comunitario. Lo si è visto durante la pandemia e di fronte all’invasione russa dell’Ucraina: quel fremito di Europa che ha cercato di reagire e di essere all’altezza delle sfide era incarnato dal profilo dolce e forte di Ursula, non dalla ridondanza delle comparsate di Charles.

Oggi, siamo tutti preoccupati dalla prospettiva di una vacanza nell’incarico, a cavallo delle elezioni europee, che possa portare alla beffa atroce di un Consiglio Europeo che, in mancanza di una rapida successione di Michel, venga presieduto nella seconda metà dell’anno dalla fatiscente Presidenza a rotazione del pessimo Viktor Orban, sovranista illiberale e filo Putin. Dalla padella nella brace ….

Si pensa allora innanzitutto ad alzare il livello della pressione, attivando  la clausola di cui all’art.7 del Trattato sull’Unione Europea, che prevede la possibilità di sospendere, tra l’altro, il diritto di voto in seno al Consiglio qualora un paese violi gravemente e persistentemente i principi, citati all’art.2, del “rispetto di dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto e rispetto dei diritti fondamentali, ivi compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”.

Battaglia giustissima (soprattutto dopo che la Polonia ha cambiato governo e rimane solo la piccola Slovacchia ad affiancare il demagogo ungherese) ma che richiederebbe la proposta di un terzo degli Stati membri dell’Unione o del Parlamento europeo o della Commissione europea, seguita dalla deliberazione del Consiglio a maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri, previo parere conforme del Parlamento, a maggioranza di due terzi. Non proprio un esito scontato, specie di questi tempi, ove anche il Primo Ministro di uno dei Paesi Fondatori mantiene buoni rapporti con l’emarginando.

Fioccano comunque le candidature alla successione di Michel, ma con la non trascurabile complicazione di una designazione che dovrebbe verosimilmente avvenire prima delle elezioni di giugno e prima quindi delle indicazioni dell’elettorato europeo, che dovrebbero dare un senso politico al pacchetto complessivo di nomine apicali dell’Unione Europea.

Impensabile, ad esempio, sprecare un fuoriclasse “au dessus de la meleé” come Mario Draghi per dargli l’incarico solo da giugno all’autunno, quando poi vedrà la luce la nuova nomenclatura ai vertici di Parlamento, Commissione e Consiglio Europeo. Non sarà facile trovare un cireneo, disposto a fare un tratto di strada con la croce in spalla.

Prof Mario Draghi – Foto di Quirinale.it, commons.wikimedia.org

E allora?

Ci permettiamo di riproporre un’idea di cui facemmo paladini, già ai tempi della Conferenza sul Futuro dell’Europa: quella del cumulo degli incarichi di Presidente della Commissione Europea e del Consiglio Europeo. Ossia dare a Ursula Von der Leyen la poltrona unica riservata da Erdogan all’Unione Europea, a suo tempo usurpata da Charles Michel.

Rispondiamo subito a chi obietta: “Si, ma servirebbe una modifica dei Trattati”. In realtà, l’art. 15 del Trattato sull’Unione Europea non contempla l’ipotesi del cumulo degli incarichi ma niente, nella lettera e nello spirito della norma, preclude sostanzialmente questa eventualità. Tutti i compiti attribuiti al Presidente del Consiglio Europeo (presiedere ed animare i lavori del Consiglio; assicurare la preparazione e la continuità; adoperarsi per facilitare coesione e consenso; presentare relazioni al Parlamento; assicurare, al suo livello, la rappresentanza esterna dell’Unione) potrebbero in effetti essere svolti dal Presidente della Commissione Europea.

C’è poi uno spunto interessante nell’art.15: la designazione del Presidente del Consiglio Europeo non richiede l’unanimità ma può essere votata a maggioranza qualificata. Cioè Orban da solo non potrebbe opporsi, come può invece fare su tante altre questioni fondamentali. Unanimità, il limite da superare per far progredire l’Europa!

Tutto ciò premesso, non ci facciamo troppe illusioni. La nostra è, al momento, solo una provocazione, che nasce dal desiderio di imprimere nuova spinta al processo d’integrazione europea, riportandone al centro la dinamica costruttiva di un Parlamento che legifera e di una Commissione che governa, in un quadro costituzionale di stampo federale che ci piacerebbe venisse definito “Stati Uniti d’Europa”.

Desiderio che dovrebbe incarnarsi, tra il 2024 ed il 2029, in una fase costituente del Parlamento Europeo, lungo la rotta tracciata negli anni Ottanta da Altiero Spinelli.

Su questo sfondo, nell’ambito di una importante revisione dei Trattati in vigore (già del resto auspicata dall’attuale Parlamento Europeo con la risoluzione del 22 novembre scorso ), si potranno mettere a punto tanti aspetti giuridicamente non trascurabili di questo superamento della diarchia attuale.

Oggi, però, con l’annuncio delle future dimissioni anticipate di Michel, si apre un’opportunità politica unica per un salto in avanti, con il quale finalmente contarsi ed eventualmente cominciare a dividersi, su chi ci crede veramente nella “unione sempre più stretta” e chi si illude invece di “riprendere in mano il proprio destino”.

Sarebbe all’inizio un esperimento di qualche mese, un incarico “ad interim” come ogni tanto succede nei governi nazionali. Ma, si sa, … “il n’y a que le provisoire qui dure”.

Soprattutto se si constatassero semplificazioni e risparmi. Ed uno smalto politico accresciuto per il rilancio della dinamica comunitaria, a discapito delle pastoie intergovernative.

Grazie, Charles Michel, per l’opportunità che ci offri.

 

Foto di apertura di Unión Europea – Perú from Lima, CC BY 2.0, commons.wikimedia.org