Pochi giorni fa, un giovane si è suicidato in carcere a Padova, impiccandosi nella propria cella. Nel 2023, a Padova non si erano registrati suicidi come avvenne nel 2022 con tre persone che si sono tolte la vita.

Foto di Tammy Cuff da Pixabay

Gennaio 2024 comincia male, con un suicidio in carcere. “Il carcere non è certo una struttura pensata per curare le ferite dell’animo umano, né è in grado d’intervenire quando c’è la necessità di seguire da vicino e in maniera assidua persone che presentino un forte disagio psichico- ha chiarito Antonio Bincoletto, Garante dei Diritti delle persone private o limitate nella libertà personale, già professore al Liceo Marchesi/Fusinato, che ha  aggiunto: “negli ultimi mesi sono avvenuti diversi eventi suicidari nelle carceri del Veneto: tre a Venezia, altrettanti a Verona ed ora uno anche a Padova. Per non parlare dei numerosi tentativi sventati all’ultimo momento. In quasi tutti i casi, si tratta di persone che presentano forte disagio sociale e problemi psichiatrici; in qualche caso sono pure morti annunciate, come quella del giovane che si trovava in isolamento ad Ancona e si è impiccato subito dopo aver comunicato, in un colloquio, la sua intenzione alla madre, che aveva chiesto all’Istituto un intervento d’emergenza, mai arrivato. Un carcere, anche il migliore, non è luogo attrezzato per aiutare chi soffre di gravi malesseri esistenziali o di patologie psichiatriche”.

Il Due Palazzi è la Casa di Reclusione di Padova: ospita circa 680 persone; la vicina Casa Circondariale, ne ospita 130. Sia l’una e che l’altra, ad oggi, ospitano il 15% in più della capienza. “Come in tutte le carceri- ha continuato Bincoletto – la presenza supera la capienza ottimale”. Per certi aspetti quello di Padova può essere considerato un carcere “modello” grazie alla professionalità degli operatori carcerari e grazie alla grande presenza di volontari che operano dentro il carcere. Qualche anno fa, la città di Padova è stata premiata dal presidente Sergio Mattarella come Città Europea del Volontariato: anche in questo caso, la generosità dei singoli e delle associazioni ha fatto la differenza. ”Se in carcere, assieme alla scuola e al lavoro, che coinvolgono una minoranza dei detenuti, non ci fossero i volontari- ha sottolineato Bincoletto- ai più resterebbe la detenzione passiva che non fa bene; le attività invece servono moltissimo perché tengono impegnate le persone detenute”.

Foto di Janno Nivergall da Pixabay

Non ci cono solo le associazioni a creare impiego: anche le Cooperative offrono un lavoro con contratto normativo, dentro il carcere ma solo un detenuto su quattro riesce ad ottenere una possibilità lavorativa. Le attività sono molteplici: si va dalla Pasticceria, la famosa Pasticceria Giotto con i celebri panettoni e pandori, al Call Center alle Officine di Montaggio e ad altre attività legate alla moda. Un’indagine sulla possibilità di recidiva a fine pena ha messo in luce che se una persona è rimasta chiusa dentro il carcere, in modo passivo, senza avere la possibilità di esercitare una qualsiasi attività, torna a delinquere nel 70%; al contrario se fa un percorso lavorativo, la recidiva scende sotto il 10%. “Il lavoro dunque è indispensabile- ha chiarito il garante- fra le possibili attività trattamentali, un posto importante lo occupa pure la scuola, che va dalla prima alfabetizzazione ai corsi superiori e arriva fino all’università; oltre al lavoro nelle cooperative, c’è, a determinate condizioni, la possibilità di accedere a lavori esterni e a lavori temporanei offerti dall’amministrazione penitenziaria, per esempio portavivande, pulizie, smistamento rifiuti, riparazioni interne”.

A proposito del “suicidio in carcere”: “anche gli agenti si suicidano più di quanto avviene fuori- ha detto il garante, che ha messo in luce che il tasso di suicidi fra i detenuti in carcere è 16 volte superiore a quelli che avvengono fuori.

Per migliorare la situazione dei carcerati, Bincoletto “sogna”: l’aumento della presenza di operatori dediti all’aspetto trattamentale e di educatori,  psicologi e mediatori culturali che ad oggi sono in numero insufficiente; il potenziamento delle misure alternative al carcere che diano più possibilità di recupero; la possibilità di aprire un maggior contatto tra interno ed esterno anche per chi ha pene lunghe: “se non si fa nulla, non c’è possibilità di riscatto- ha aggiunto, ricordando che la messa in campo della giustizia riparativa permette a chi è dentro di mettersi in contatto con la vittima per conoscere il danno compiuto e le sue conseguenze e alla vittima, di capire ed elaborare il danno subito. “Sono stati mesi parecchio impegnativi, considerato che a Padova fino al 2021 non esisteva questa figura e che, dunque, l’attività e l’ufficio del Garante sono stati avviati ex novo”- ha confermato Bincoletto– L’impegno, profuso come da regolamento in forma completamente gratuita, è compensato da tanti segnali piccoli e grandi di apprezzamento rispetto a quanto si sta facendo sia per monitorare il rispetto dei diritti umani fra le persone recluse, sia per ottenere livelli sempre migliori di collaborazione fra e con le istituzioni affinché si applichi in maniera integrale quanto definito dalla nostra Costituzione (art.27): il carcere non ha solo funzione punitiva/retributiva ma deve anche offrire ai detenuti possibilità di cambiamento che consenta il reinserimento nella società una volta scontata la pena”.

Foto di Ptra da Pixabay

“Non ci sono carceri modello- ha confermato Ornella Favero, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizie e direttrice del giornale “Ristretti Orizzonti” che pubblica 7 numeri all’anno, con circa 2000 copie per numero. ”Il carcere di Padova ha sperimentato un’importante innovazione dal basso- ha spiegato- cioè ha creato più possibilità lavorative e un gran numero di attività come per esempio ha promosso gli incontri con le scuole e dato vita al giornale carcerario e ad altro ancora. In carcere si applica la Costituzione che non esclude nessuno dal recupero, secondo l’articolo 27 che dice che le pene devono tendere alla rieducazione. Ma è chiaro che la certezza della pena non è la certezza della galera, non è questa la soluzione. Il carcere infatti può essere e diventare scuola di criminalità”. Quello che Favero si augura è che i politici possano pensare che finire in carcere può capitare a tutti, anche per una lite banale. E che dunque lì dentro, dietro le sbarre, ci sta tanta umanità diversa ma non la peggiore umanità. “Tutti noi possiamo sbagliare- ha concluso, auspicando, tra le misure da adottare per educare e migliorare la vita personale di chi è in carcere, che si possano lasciare le telefonate quotidiane con le famiglie; che si diano più spazi alle misure alternative. Questi piccoli progressi potrebbero anche ridurre il numero dei suicidi in carcere.

 

Foto di apertura di Adrien Villez da Pixabay