«Il vero signore è simile ad un arciere;
se manca il bersaglio, ne cerca la causa in sé stesso»
Confucio

 

A poco meno di due mesi dalle elezioni europee, sullo sfondo di un confronto tra europeismo e nazionalismo, si conferma un frammentato quadro d’insieme delle possibili opzioni e non-opzioni di voto.

Gli opposti schieramenti, la crisi del quadro internazionale

I difensori dello status quo sperano che il blocco popolari-socialisti continui ad essere il perno di ogni alleanza futura. Ad essi si accodano Verdi e Liberali. La via federale sovranazionale continua ad essere la loro proposta.

I conservatori e le destre, contrari al concetto di sovranazionalità, vorrebbero trasformare l’UE in un’unione delle nazioni europee, una riedizione della gollista «Europa delle patrie», basata su un progetto confederale.

Gli antisistema sono radicalmente contrari ad ogni blocco istituzionale attuale, convinti che la sua distruzione sia l’unica via da percorrere. Partiti radicali come Die Linke e AFD in Germania, movimenti come Pace, Terra, Dignità di Michele Santoro, Democrazia Sovrana e Popolare di Marco Rizzo (se riusciranno a raccogliere le indispensabili firme), ed Europa Sovrana e Indipendente, per ora solo think thank nato per iniziativa di un gruppo di analisti di area militare, ne sono l’espressione.

Infine, i disillusi sono oggi il partito largamente maggioritario nelle elezioni nazionali e in quelle europee.

Nelle ultime elezioni europee del 2019, sebbene gli elettori siano aumentati rispetto al 2014, raggiungendo una media intorno al 51%, si sono quindi recati alle urne la metà degli elettori dell’Unione, con i Paesi fondatori tra il 51% della Francia e il 62% della Germania, virtuoso il Belgio con l’83%, ai minimi la Slovacchia con il 23%.

Mai un voto è sembrato più problematico. Come ho già scritto in Quale via per l’Europa?, ci troviamo di fronte a un’UE burocratica e verticista, sempre più lontana dalle aspirazioni popolari e legata agli interessi di lobbies e poteri economici, fortemente dipendente in politica estera dalla condivisione con un alleato che negli ultimi anni ha dimostrato di essere meno stabile nel quadro internazionale per via della forte polarizzazione interna.

Statua di Goethe, Goetheplatz, Francoforte, Unsplash

Una politica lontana dalle aspirazioni dei popoli

L’UE è così sempre meno attrattiva e le forze politiche ai vertici delle istituzioni europee vengono considerate parte rilevante della responsabilità di tale disaffezione, non soltanto nelle consultazioni europee ma anche in quelle nazionali. Non altrimenti potremmo spiegare la crisi dei partiti tradizionali, l’astensionismo crescente e l’affermazione di movimenti critici verso il progetto europeo.

La proclamazione di obiettivi-slogan delle organizzazioni internazionali, condivisa attivamente dai grandi interessi, sembra aver sostituito l’elaborazione di progetti concreti a vantaggio di tutti, così che l’opinione pubblica appare disorientata e disarmata.

Facciamo solo alcuni esempi di tali contraddizioni. Sostenibilità: ogni prodotto in commercio è oggi «sostenibile», è credibile che in un tempo così breve sia avvenuta una simile metamorfosi produttiva?; resilienza: il genere umano ci era già abituato da millenni!; contrasto alla povertà: non vi è mai stata un’epoca come questa con disparità sociali più marcate; diritto alla salute: dopo la speculazione di Big Pharma dell’era Covid i livelli di assistenza sanitaria si sono drasticamente ridotti, specialmente per gli individui più fragili; transizione energetica: i limiti dell’elettrico nell’automotive, dopo la riconversione del comparto industriale, o l’edilizia green sono traguardi irraggiungibili dalla maggior parte delle famiglie per l’alto costo economico che dovrebbero sostenere.

La sovraesposizione nella governance europea di istituzioni, di finanza e di economia per obiettivi-valori, oggi economia dell’emergenza, addirittura economia di guerra, quando sembra che tutti i paradigmi stiano saltando, ha allontanato i popoli, perché è difficile non pensare che anche quegli obiettivi siano stati modellati sull’utilità non delle singole persone ma del potere.

Partecipando – come a me capita – a chat di diversi orientamenti e su problematiche apparentemente diverse è possibile notare in tutti gli stessi timori e perplessità, dovunque emerge una visione pessimistica del momento presente e un’incapacità a vedere il futuro in modo positivo, una sfiducia che blocca l’iniziativa, mentre la trasformazione che stiamo vivendo viene percepita lontana dalla propria realtà e dalle proprie aspettative.

Una visione della vita e dell’uomo

Le parole di Peguy in Notre jeunesse descrivono bene la differenza tra ideale e politica:

«Tutto ha inizio con la mistica, con una mistica, con la (propria) mistica e tutto finisce con una politica qualunque. L’importante, l’interessante non è che una politica vinca questa o quella politica, non è nel sapere quale politica trionferà tra tutte le altre. L’importante, l’interessante, l’essenziale è che in ogni ordine, in ogni sistema la mistica non sia divorata dalla politica alla quale ha dato origine».

Ma come può un uomo stretto tra potere e dramma esistenziale, in un mondo dove tutto è delegato all’organizzazione e ai suoi processi, riprendere l’iniziativa? Un uomo così non ha altra via che quella di riappropriarsi della propria identità. Le diverse situazioni non sono quindi «problemi da risolvere» a cura di anonimi chierici del potere, ma occasioni da affrontare con l’intraprendenza trasparente e partecipata delle persone.

Questa coscienza era molto chiara ai nostri padri usciti dalla seconda guerra mondiale, che ebbero l’obiettivo di ricostruire un mondo distrutto, basando la propria convivenza su valori comuni che potessero generare un nuovo tessuto spirituale e umano, e si rifletté non soltanto nella partecipazione politica, ma fu capace di trasformare l’Italia in una potenza economica creativa e vitale.

De Gasperi tra Schuman e Adenauer all’Assemblea del Consiglio d’Europa, 10 dicembre 1951

In quegli anni (21 aprile 1954) De Gasperi pronunciava a Parigi il suo discorso La nostra patria Europa:

«Se con Toynbee io affermo che all’origine di questa civiltà europea si trova il cristianesimo, non intendo con ciò introdurre alcun criterio confessionale esclusivo nell’apprezzamento della nostra storia. Soltanto voglio parlare del retaggio europeo comune, di quella morale unitaria che esalta la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, col suo culto del diritto ereditato dagli antichi, col suo culto della bellezza affinatosi attraverso i secoli, con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria.

È vero che queste forze spirituali rimarrebbero inerti negli archivi e nei musei se l’idea cessasse di incarnarsi nella realtà viva di una libera democrazia che, ricorrendo alla ragione e all’esperienza, si dedichi alla ricerca della giustizia sociale; è vero anche che la macchina democratica e l’organizzazione spirituale e culturale girerebbero a vuoto se la struttura politica non aprisse le sue porte ai rappresentanti degli interessi generali e in primo luogo a quelli del lavoro.

Dunque, nessuna delle tendenze che prevalgono nell’una o l’altra zona della nostra civiltà può pretendere di trasformarsi da sola in idea dominante ed unica dell’architettura e della vitalità della nuova Europa, ma queste tre tendenze opposte (NdR: liberalismo, socialismo, cristianesimo) debbono insieme contribuire a creare questa idea e ad alimentarne il libero e progressivo sviluppo».

E così Guardini nel suo scritto Il Salvatore nel mito, nella rivelazione e nella politica. Una riflessione teologico-politica (1935–1946):

«Ancora una volta: che cos’è l’Europa? Non è un complesso pu­ramente geografico, né soltanto un gruppo di popoli, ma un’en­telechia vivente, una figura spirituale operante. Si è sviluppata in una storia, che passa per quattromila anni e a cui non si può finora paragonare nessun’altra in ricchezza di personalità e di for­ze, in audacia d’azioni come in profondi movimenti di destini sperimentati, in ricchezza di opere prodotte come in pienezza di significato immessa in ordini di vita creati. Essa si innalza sem­pre di nuovo dalla costruzione delle città e dalle forme dei Paesi. Agisce nelle lingue – e quali lingue! – dal discorso luminoso dei Greci e dal discorso dei Romani, col suo sovrano dominio della forma, fino agli idiomi carichi di storia dei moderni popoli eu­ropei. Determina il modo di pensare, il carattere del valutare, il modo di sentire e di vivere. È una realtà com’è una realtà la struttura essenziale del cristallo di rocca, della quercia, dell’aqui­la, del contadino o dell’artista, solo molto più ricca in forme e stratificazioni, in forze e tensioni – ma anche perciò molto più vulnerabile e minacciata da pericoli»».

Riflettere sull’attualità di queste parole può orientarci in un voto così decisivo.

Immagine di apertura: Palazzo con bandiere europee, Pixabay