Indossare una corazza di imperturbabilità è operazione indispensabile per non cedere alla commozione nel parlare di Etty Hillesum, martire dell’amore ad Auschwitz. Etty (diminutivo di Esther), nata a Middelburg (Olanda) il 15 gennaio 1914 da

famiglia ebraica, fu trucidata dai nazisti ad Auschwitz il 30 novembre 1943. Aveva 29 anni.

Impressiona nel suo iter formativo il livello di spiritualità raggiunto e l’adesione al Dio di amore cristiano, che ella testimoniò fino al sacrificio di sé. I suoi scritti (lettere, diari, riflessioni ecc.), affidati da Jaap, fratello di Etty, il quale morì il 17 aprile 1945, a Klaas Smelik, furono pubblicati solo nel 1981 dall’editore De Haan. È opportuno ricordare che i genitori di Etty e l’altro fratello Misha, musicista di talento, furono massacrati dai nazisti all’inizio di settembre 1943, il giorno stesso della loro deportazione ad Auschwitz. A Etty fu risparmiata la vita, ma solo per due mesi, che ella trascorse in una baracca del campo di sterminio nazista, là dove visse come “cuore pensante”, confortando i compagni di sventura.

I pochi sopravvissuti a quella tremenda esperienza dichiararono dopo la guerra che Etty era stata per loro “un’anima luminosa”. Fino al momento di essere strappata alla baracca per affrontare il martirio, ella non finì di lodare la vita. Alcuni pensieri, estrapolati dai suoi diari, danno la misura della dimensione spirituale di questa mistica del ‘900 e del suo amore per l’umanità: «Se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero. […] L’odio indiscriminato è una malattia dell’anima, odiare non è nel mio carattere».

«Se tutto questo dolore che la persecuzione nazista degli ebrei ha provocato non amplia i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile».

Sul treno che la deportava ad Auschwitz, Etty scrisse: «Il Signore è il mio più alto rifugio».

Alcuni studiosi della sua vita e del suo pensiero sono convinti che, da bambina, abbia sofferto per carenze educative riconducibili al matrimonio burrascoso dei suoi genitori. Sperduta nel vuoto affettivo, da giovanissima visse relazioni sentimentali spiritualmente insignificanti. Parlando nei diari di questi amorastri, così concluse: «Mi hanno lasciata lacerata interiormente e

La prima pagina del diario di Etty, oggi consultabile online 

mortalmente infelice».

Questa amara dichiarazione ci consente di inserire per contrasto un celebre testo spirituale, che scrisse il 1° luglio 1942, quando, vivendo ad Amsterdam, già occupata dai nazisti, la minaccia della deportazione nei campi di sterminio divenne concreta. Fu in quel tempo che fece la conoscenza di Julius Spier, uno psicologo ebreo tedesco, che le fece conoscere S. Agostino e la tradizione cristiana. Fu, dunque, un mediatore tra Etty e Dio du Gesù Cristo. Julius Spier è l’amico citato nel passo famoso di Etty sul “gelsomino bianco”, che si trovava nel cortile di casa sua, ad Amsterdam. Il gelsomino simboleggia una sposa innocente su cui incombe un futuro sinistro: «Pomeriggio, le quattro e un quarto. Il sole illumina questa veranda e un vento lieve accarezza il gelsomino. Vedi dunque, un altro giorno è appena cominciato per me. Quanti ne sono trascorsi da stamattina alle 7? Indugio ancora 10 minuti nell’osservare il gelsomino e poi vado dal mio amico, che è presente nella mia vita da 16 mesi e mi sembra di conoscere da 1000 anni – anche se a volte mi appare in una luce così nuova e meravigliosa da togliermi il respiro. Sì, il gelsomino. Come è possibile, mio Dio, che se ne stia là stretto tra i muri dei vicini e il garage e veda davanti a sé il tetto piatto, scuro e fangoso del garage? In mezzo a quel grigio spento color di melma, esso è così radioso, così incontaminato, così esuberante e così delicato come una giovane sposa temeraria che si sia persa nei bassifondi. Qualcosa di assolutamente incomprensibile. Del resto, non c’è alcuna necessità di capire. Si può benissimo credere nei miracoli, in questo 20° secolo. Questo è un miracolo. E io credo in Dio, anche se tra poco in Polonia i pidocchi mi avranno divorata».

L’edizione italiana del Diario di Etty curata da Adelphi

Poco prima di essere deportata ad Auschwitz, Etty scrisse una lettera che riassume il senso del suo percorso spirituale fondato sulla fede in Dio, sulla necessità della pace e sulla trasformazione dell’odio in amore: «Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. Una pace futura potrà essere veramente tale, se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo; se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato alla lunga in amore. È l’unica soluzione possibile. È quel pezzettino d’eternità che ci portiamo dentro. […] Io non odio nessuno: una volta che l’amore per tutti gli uomini comincia a svilupparsi in noi, diventa infinito».

Toccante un passo di una sua preghiera, frutto di una “conversazione” con Dio: «Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolvere, forchette e cucchiai d’argento, invece di salvare Te, mio Dio. Ed altre persone che, ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: “Me non mi prenderanno”. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle Tue braccia. Comincio ad essere un po’ più tranquilla, mio Dio, dopo questa conversazione con Te. Discorrerò con Te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia, ma credimi, io continuerò a lavorare per Te e ad esserti fedele e non ti caccerò via dal mio territorio».

Ogni commento limiterebbe la bellezza delle parole di Etty, nostra sorella.