Il 25 novembre scorso la Corte ha deciso il caso Biancardi contro Italia (ricorso n. 77419/16) un caso riguardante il “diritto all’oblio”, statuendo che l’Italia non aveva violato l’articolo 10 (che protegge il diritto alla libertà d’espressione) ritenendo che anche il redattore capo di un giornale on line possa andare incontro a responsabilità civile per la mancata rimozione di un articolo dal sito internet a richiesta degli interessati.

La decisione è importante perché riconosce che non solo i gestori dei motori di ricerca, ma anche i giornalisti possono essere ritenuti responsabili della mancata rimozione dell’articolo.

Nel caso di specie, si trattava di un articolo relativo a una rissa in un ristorante e al processo penale che ne era scaturito, articolo del quale i proprietari del ristorante avevano chiesto non la rimozione, ma semplicemente la deindicizzazione, in modo da evitare la lesione alla loro reputazione che sarebbe derivata dal fatto che bastasse digitare il nome del ristorante per trovare la notizia, peraltro ormai non più attuale.

La Corte, nel ritenere che il comportamento dello Stato italiano non avesse violato l’articolo 10, ha richiamato la sua giurisprudenza attestata sul discrimine rappresentato dalla rilevanza pubblica della notizia per giustificare la prevalenza del diritto all’informazione sul diritto alla reputazione.

Il problema richiederebbe ben altri spazi e ben altri approfondimenti, ma è lecito avanzare dubbi sul fatto che l’esercizio di un diritto fondamentale possa dipendere, ad esempio, dall’esposizione mediatica della persona oggetto della notizia.

Nel dettaglio, insomma, la decisione rimane da approvarsi, ma lascia perplessi il richiamo da parte della Corte di questa discutibile dottrina.