L’inverno 2022 per gli italiani non sarà particolarmente critico per le questioni legate al gas. Prima di lasciare il governo, Mario Draghi e il Ministro Roberto Cingolani hanno fatto del proprio meglio per riempire gli stoccaggi. Un’altra operazione verità che ci dice che di gas ne abbiamo ancora tanto bisogno. Certo in un quadro di transizione verso le rinnovabili. Ma d’altra parte i cambi di scenari energetici sono sempre stati accompagnati da opinioni contrastanti. Spesso da dibattiti e studi commissionati ad arte per speculazioni finanziarie. Da settimane in tanti parlano di energia, gas, sostenibilità, contenimento dei consumi e via discorrendo. Troppi dibattiti che creano anche disorientamento tra chi guarda le bollette. Tuttavia, a mio parere, qualcosa di serio e di analitico ancora si produce. Per esempio uno studio dell’Unicusano e dell’Università Roma Tre, in collaborazione con altre Università straniere, che fotografa la situazione per quella che è e rende meno ansiosi i cittadini. Cosa dice lo studio ? Che se il Consiglio europeo approva il taglio dei consumi energetici- nella fattispecie di gas- per l’Italia si allontana “ la possibilità di un’uscita dalla crisi attuale”. Le ricadute sul tessuto economico e sociale sarebbero pesanti e tutta la strategia green ne risentirebbe. Ora, è vero che l’Europa di fronte ai ricatti russi ha tutto il diritto di discutere del taglio del 15% dei consumi. Che il dibattito politico ha un’infinità di scorie da eliminare. Ma poi noi in Italia riusciremmo a mandare avanti le aziende, far funzionare le centrali elettriche, soddisfare le famiglie, visto come è strutturato il nostro sistema energetico ? Siamo parte dell’Europa, ma abbiamo anche tante falle da riparare.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Energy Reports” e fa emergere una stretta relazione tra consumi energetici e PIL. Vi è rappresentato un legame a due vie tra necessità energetiche e crescita economica in Italia dal 1926 al 2008. Marco Mele, docente di Politica Economica dell’Unicusano e Cosimo Magazzino, docente di Politica Economica dell’Università di Roma Tre, spiegano che se si prendono in considerazione intervalli temporali molto brevi, gli effetti dei consumi energetici sulla crescita del PIL sono evidenti. In pratica una politica che vuole la riduzione del consumo di gas potrebbe generare una riduzione del PIL. Il ragionamento, evidentemente, vale anche per gli altri Paesi dove le alternative al gas sono ancora minoritarie. Quando si studiano processi cosi’ complessi bisogna avere cautela, se non altro perché la storia ce lo ha insegnato. L’Europa non è unita sul fronte dell’energia. Lo sappiamo da tempo e solo nell’ultimo anno e mezzo noi italiani abbiamo fatto qualche mea culpa. La riduzione di una fonte energetica primaria anche in un periodo più lungo- soprattutto se vogliamo ( come vogliamo) liberarcene-  ha conseguenze reali. E gli usi di energia devono sempre fare i conti con le abitudini e gli stili di vita delle persone, oltre che con il sistema industriale. In altre parole, una riduzione indiscriminata del 15 % di gas ridurrebbe il PIL italiano di un valore tra -2,61 e -2,85 nell’arco di 5 anni.

Si tratta di previsioni che tengono conto delle aspirazioni degli italiani a vivere solo di energie rinnovabili. Pero’ entra il gioco il fattore tempo. E se lo studio di “Energy Reports” spalanca le porte alla crescita delle rinnovabili e del nucleare, è pur vero che le fonti pulite oggi non coprono tutto il sistema italiano. Ursula Von der Leyen spinge per decisioni di prospettiva e lo fa con spirito unitario, europeista. In Italia “le fonti rinnovabili – si legge nello studio- oggi sono in grado di produrre poca quantità di energia; sono ancora legate a eventi imprevedibili e dipendono dalle condizioni metereologiche”. Immaginare uno sviluppo socio-economico sostenibile nel giro di pochi anni ( 2030 ?) che non  abbatta il Prodotto interno lordo è, dunque, inverosimile. È importante investire sulle fonti alternative e con il PNRR lo stiamo facendo. Occorre,  pero’, “un graduale svincolamento da gas, petrolio e carbone”. E il concetto di gradualità include variabili strutturali e accidentali che condizionano qualsiasi programma. Prima delle vicende sui gasdotti Stream 1 e 2  ci ricordiamo della crisi petrolifera, delle guerre sui prezzi, delle rivalse di Donald Trump sulle rinnovabili, sugli accordi Russia- Germania, ecc. Per questo decidere di ridurre il consumo di gas – quasi fosse una dieta alimentare- ignorando la struttura energetica di un Paese (Italia), che le fonti green coprono appena  un terzo della produzione elettrica e i tempi per realizzare i nuovi impianti, assomiglia a una corsa dal risultato incerto. L’Italia ,viceversa, con la transizione energetica impostata da Draghi e le risorse da spendere fino al 2026, va in cerca di risultati certi.