C’è una guerra fatta di morti, feriti, dispersi, di fame, di freddo, di privazioni, di violenza e di odio. Ma vi è un’altra guerra quella interiore che continua a combattere un reduce e che combatte per tutta la vita. Il senso di colpa e di impotenza che accompagna un sopravvissuto è uno status particolare e specifico constatato anche dai medici.

Il ricordo di quel passato e la memoria di quei giorni dolorosi di guerra e di quanti hanno combattuto con te e che non sono più tornati è il filo conduttore che accompagna il protagonista di questa storia.

La guerra descritta è la ritirata dell’esercito italiano dalla Russia durante la II Guerra Mondiale. Una vicenda troppo rinomata per il suo doloroso epilogo. Pochi riuscirono a tornare perché, come si dice ricorrentemente, la Russia ha due generali “Gennaio e Febbraio”. Il nostro esercito è mal armato e mal attrezzato per resistere ai Russi e a quel clima e così si ritira. Alcuni si illusero di poter tornare a casa, in realtà in quella ritirata incontrarono la morte.

Soldati italiani durante i combattimenti per Donec’k-1941- Foto pubblico dominio da wikipedia.org

Il libro di Pier Vittorio Buffa “Ufficialmente dispersi” edito da Piemme ha come protagonista un sottotenente che era a capo di 14 uomini e che durante una battaglia ne perde le tracce e non ha la certezza della loro morte e per tutta la vita il loro ricordo lo accompagna in un travaglio interiore fatto di incubi e flashback. L’autore descrive il lungo cammino che questo sottotenente, ormai diventato un civile, fa per tutta la vita. Lui pensa sempre ai suoi uomini e una volta l’anno prega per loro andando a Messa, lui che a Messa non ha la consuetudine di andare. Purtroppo anche se riesce ad avere una normale quotidianità come una moglie, dei figli e un lavoro, non smette mai di pensare alla Russia e a quella guerra da lui combattuta, in cui lui stesso ha sfiorato la morte. Il protagonista continua a cercare e non solo nei ricordi, perciò scrive anche ai parenti dei suoi quattordici uomini per dare loro un messaggio di conforto e ovviamente non sempre ci riesce.

Ma in questo lungo cammino che si sviluppa e che dura per gran parte del Novecento, gli equilibri inaspettatamente cambiano e quello che era un paese blindato e chiuso nell’oblio, ossia l’Unione Sovietica, si apre all’Occidente e collabora affinché negli archivi dei suoi campi di prigionia si possa cercare la storia dei molti dispersi e dare una certezza alla loro scomparsa, avendo molti di loro purtroppo trovato una morte certa nei campi di prigionia.

Il sottotenente ha finalmente delle risposte ai suoi dubbi logoranti e così alla fine della sua vita scopre che quegli uomini che ufficialmente erano dispersi, hanno avuto una fine ufficiale ossia una vera dichiarazione di morte nei campi di prigionia.

Con la lettura di questo libro, in cui il protagonista conduce in solitudine queste sue rielaborazioni, si vive una tensione e un profondo cordoglio per tutta questa sofferenza. Eppure nella sua solitudine spirituale l’ex sottotenente trova inaspettatamente nel figlio un sensibile ascoltatore che lo conforta e lo sostiene nei suoi pensieri ricorrenti e sempre molto tristi.

Nel libro oltre al disprezzo per la guerra, si prova un senso di forte rammarico per una vicenda così dolorosa; è come se il protagonista fosse morto due volte, in Russia con i suoi uomini “ufficialmente dispersi” e alla fine della sua vita naturale, a cui il figlio però riesce a dare una degna sepoltura.

Infatti questa è l’unica degna e vera sepoltura del libro, purtroppo il sottotenente muore con l’unica consapevolezza che le spoglie di quel drappello di uomini, di cui era a capo, furono depositate nelle fosse comuni dei campi di prigionia e che non potranno più tornare in patria.

 

Foto di apertura: prigionieri tedeschi,italiani,rumeni e ungheresi (1943)-Foto pubblico dominio da wikipedia.org