Fra pochi giorni andremo a votare per il Parlamento italiano; per la prima volta a ridosso dell’estate, per l’ennesima a causa dell’interruzione della legislatura. Alcuni partiti che sostenevano il governo di Draghi hanno deciso, per gelosie o calcoli elettorali, di interrompere un’esperienza positiva che aveva fatto tornare l’Italia ad essere rispettata a livello europeo ed internazionale ed aveva efficacemente operato sul versante della vaccinazione di massa e dell’implementazione del PNRR e soprattutto aveva operato con il metodo della concretezza e sobrietà, a diversità dei precedenti.

Questo è già passato, non si può comunque ignorare che il Paese è stato lasciato, dal Movimento 5 Stelle e dai partiti di centrodestra, senza un governo proprio nel periodo congiunturale più delicato a causa dei danni che la guerra colonialista voluta dalla Russia in Ucraina sta provocando a tutto il sistema economico mondiale, in particolare in relazione al regolare approvvigionamento delle fonti di energia, ad iniziare dal gas. Patetico che, ben nota da mesi la problematica, proprio quei partiti hanno a gran voce richiesto al governo in gestione ordinaria di assumere decisioni onerose per il futuro degli italiani che non vogliono prendere loro.

Foto di Leviver – licenza CC BY 2.0. https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/?ref=openverse.

I sondaggi ad inizio di settembre prevedono la vittoria, anche grazie al sistema elettorale inefficace che non si riesce a riformare, del centrodestra, che pure è molto diviso al suo interno ed anzi assistiamo a contraddizioni continue che fanno mal pensare sulla loro credibilità per la gestione del Paese. Sapremo cosa accadrà solo dopo il 25 settembre; di certo, in questi ultimi anni e mesi, abbiamo assistito alla liquefazione del Movimento 5 Stelle ed alla mortificazione di gran parte delle speranze che aveva suscitato, alla nascita di una forza “centrale” formata da transfughi di altri partiti, ad un centrosinistra con ripetuti problemi di identità. Appare preoccupante anche che alcuni partiti propongano posizioni politiche incompatibili con quelle degli alleati, lanciate solo per drenare qualche voto. Il vero problema civico e di sistema è poi dato dall’altissimo numero di persone che hanno deciso o sono orientate al “non voto”, come si è riscontrato nelle più recenti tornate elettorali, ma anche nel numero degli indecisi nei sondaggi. Quel che spiace, anche se si comprendono facilmente le cause, è il largo numero di potenziali astensionisti fra i giovani. Non ho alcuna autorità per spacciarmi come politologo, non ho neanche avuto il tempo di leggere tutti i programmi dei partiti, ma vorrei proporre alcune considerazioni personali come cittadino che è innamorato del suo Paese ed ha non pochi timori per quanto avverrà per sé, per i figli e nipoti, per i concittadini tutti. Di seguito pochi punti che ritengo siano strategici per impostare meglio la propria decisione e che spero suscitino l’interesse degli amici di TUTTI europa ventitrenta.

 

  1. Votare

Le prime parole che voglio spendere sono per gli indecisi e chi ipotizza di non votare. Il voto è un diritto-dovere di tutti noi, è stata una grande conquista dopo la riunificazione del nostro Paese; un diritto che, per vent’anni, fu negato dal regime fascista che, dopo le sciagurate scelte belliche ha lasciato l’Italia in macerie; un diritto di nuovo sancito dalla nostra bellissima Costituzione approvata con la nascita della Repubblica. A volte abbiamo memoria corta: votare è alla base del nostro impegno come cittadini, è una testimonianza importante del nostro patto con lo Stato.

C’è chi prova a dire “sono tutti uguali” oppure “non serve a nulla votare”. È un atteggiamento sfascista da condannare. Non è così! Grazie ai partiti della Prima Repubblica (pur con tanti difetti) c’è stata la ricostruzione del Paese, il “boom economico”, l’Italia è riuscita a collocarsi fra i primi dieci paesi più progrediti nel mondo (in alcuni anni era arrivata al quinto posto). Negli ultimi venti anni sono state effettuate non poche scelte infauste; un esempio che ben ricordiamo fu il default del 2011, quando Berlusconi si dimise; ma nel complesso è vero anche per l’Italia quanto disse Barak Obama nel 2017 la situazione «è migliore rispetto a quanto fosse cinquant’anni fa, trent’anni fa o anche solo otto anni fa».

Per queste ragioni è importante votare e farlo valutando la propria scelta in modo che non sia effettuata solo sull’onda dell’emozione o delle delusioni. Non ripropongo l’adagio di “votare il meno peggio turandosi il naso”, suggerisco invece di scegliere fra le varie proposte quella meno distante dalle proprie idee, quella che meglio risponde su alcuni punti fermi, tenendo conto che il compromesso fa parte della dialettica democratica. Nel futuro la scelta migliore potrebbe essere quella di impegnarsi direttamente in politica per affermare le proprie idee. Ma resti chiaro che il non votare non è un atto indifferente: da una parte aiuta chi è più bravo nel marketing, dall’altra significa delegare ad altri le scelte che ciascuno di noi dovrebbe effettuare.

 

  1. Unione Europea

Sceglierei con convinzione di dare il voto solo scegliendo fra i partiti e candidati realmente europeisti e tali con coerenza negli ultimi decenni. Varie forze si sono definite “sovraniste”, anche se poi in parte lo hanno rinnegato; alcune esplicitamente continuano a definirsi anti-europeiste; numerosi candidati tuonarono contro l’Euro; altri si dicono alleati o ammiratori di Orban, che in più occasioni ha contrastato la solidarietà nell’UE (Unione Europea) o dicevano di ammirare Putin, un dittatore. Questo è un discrimine, tali forze danneggerebbero il rapporto fra Italia e UE, ricordiamo prima di votare quel che è stato fatto e detto. Ritengo sarebbe interesse del Paese avere un governo chiaramente europeista e un Presidente in grado di colloquiare e collaborare con i leader dei maggiori paesi dell’UE con credibilità.

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Non penso sia ancora necessario ricordare in dettaglio le ragioni del forte interesse nazionale a partecipare all’UE; ne elenco velocemente le principali. Grazie alla UE non abbiamo più guerre fra i paesi dell’Europa occidentale da più di 75 anni ed è un evento impensabile in futuro; nei paesi UE vi è libertà di stabilimento e circolazione per i cittadini; il mercato economico è diventato “unico” e non esistono più guerre economiche fra i paesi, pur se la concorrenza resta giustamente significativa; vi è una libera circolazione delle merci e dei capitali; molte risorse UE sono state indirizzate a colmare le disparità (i programmi per le regioni meno sviluppate come il nostro Sud, gli incentivi per i paesi dell’Est entrati in UE, fino al recentissimo PNRR); infine l’Euro, molto ben difeso al tempo da Draghi, e le politiche finanziarie UE hanno abbattuto l’inflazione (che negli anni ’80 ha superato il 20% annuo), difendendo il potere d’acquisto di ogni cittadino.

Riconoscere i grandissimi meriti dell’UE non significa ritenere che tutto sia perfetto, al contrario il nostro governo dovrà impegnarsi per attenuare l’euro-burocrazia e combattere le lentezze decisionali, per riformare il sistema di voto per evitare veti strategici e, soprattutto, vista la situazione contingente, per proporre passi avanti su una politica estera e militare comune fra i paesi UE.

 

  1. Scelta occidentale

Dopo la II guerra mondiale, a seguito degli accordi di Jalta, l’Europa di fatto fu divisa in due aree di influenza fra URSS e Alleati occidentali. Purtroppo pochi anni dopo la pace iniziarono le tensioni fra le due aree, culminate con “l’assedio di Berlino Ovest” da parte URSS nel ’48 e poi con il lungo periodo della “guerra fredda”. Anche a causa di quell’incidente, nel 1949 fu fondata la NATO come alleanza fra USA, Canada e dieci paesi dell’Europa occidentale, fra cui l’Italia, con l’obiettivo di garantire una “difesa collettiva” per tutti i paesi aderenti, che viene esplicitato come l’obbligo di entrare in guerra al fianco del paese eventualmente attaccato da un paese terzo.

Con la caduta del “Muro di Berlino” (fine ’89) ed il collasso dell’URSS che consentì la nascita di 15 stati nazionali (fine ’91), la guerra fredda venne meno, data la situazione geopolitica notevolmente cambiata. Fra il 1990 ed il 2004 sei paesi dell’Europa orientale ed i tre paesi baltici ex-URSS aderirono alla UE, cinque ed uno ex-URSS anche alla NATO.

Per l’Italia la scelta occidentale e l’adesione alla NATO sono di interesse primario per la difesa del Paese ed è vero e incredibile che alcuni politici, proprio in questo momento drammatico della guerra voluta da Putin, si esibiscono in ragionamenti capziosi o abbiano espressioni assolutorie nei confronti del dittatore russo o siano alleati del suo partito. Personalmente penso che la difesa dell’Ucraina e della sua popolazione sia un impegno etico e politico non negoziabile per ciascun cittadino e Paese libero, sono stato orgoglioso di quel che hanno fatto e fanno il nostro governo e tanti italiani in questo frangente. Ci sono stati probabilmente errori e sottovalutazioni della NATO, stona a volte l’atteggiamento troppo interventista degli USA, ma la scelta occidentale non ha alternative credibili e sarebbe un tradimento per la nostra storia ed i nostri ideali metterla in discussione.

 

  1. I giovani

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Per quanto stiamo ascoltando negli interventi della campagna elettorale ed anche per quanto effettuato dagli ultimi governi devo dire che il problema dei giovani o è ignorato o sottovalutato. Considero che questa tematica sia davvero strategica per il futuro del nostro Paese. Non vi è spazio per scendere nei dettagli, alcuni furono trattati nel mio articolo su TUTTI europa ventitrenta del X/’21, cui rimando. Bisognerebbe affrontare tre aspetti: il problema della denatalità; il diritto a conseguire i migliori risultati della formazione secondaria e terziaria; il sostegno nell’ingresso nel mondo del lavoro. Per la denatalità la pandemia ha ulteriormente peggiorato la situazione e negli ultimi tre anni vi sono stati meno di 400mila nati in Italia. È un problema enorme per il futuro del Paese cui bisogna rispondere subito, poiché, solo per trattare il problema delle pensioni, dalla situazione attuale già critica, che prevede in media 1 pensionato ogni 3 lavoratori attivi si sta migrando ad un rapporto 2 a 3, che sarebbe insostenibile. Bisognerebbe subito invertire il trend, varare misure finanziarie di sostegno per le giovani famiglie ed in generale le giovani coppie, misure organizzative per contemperare le esigenze familiari con quelle lavorative, misure di supporto nella gestione dei bambini.

Inoltre sarebbe opportuno realizzare la più ovvia decisione operativa, che è quella di approvare finalmente lo ius soli che viene incoraggiata anche dai recenti successi sportivi ottenuti da italiani naturalizzati. I bambini nati in Italia ed educati nella nostra scuola e nell’ambito del nostro contesto culturale (o quelli immigrati senza genitori) possono essere un prezioso atout per lo sviluppo del nostro Paese, come già avviene in altri paesi europei più lungimiranti e meglio organizzati. La seconda priorità potrebbe essere quella di varare misure per attrarre in Italia i giovani figli degli oriundi, cioè di coloro che emigrarono dall’Italia verso altri paesi nel mondo, in particolare in America Latina.

Nel punto successivo parleremo della formazione; per l’occupazione, soprattutto per diplomati e laureati occorrerebbe che il nuovo governo lanci programmi, condivisi con il sistema industriale del Paese, per azioni a sostegno dell’occupabilità dei giovani (un orientamento efficace, supporti per l’autoimprenditorialità, agevolazioni per start up che siano gestiti da giovani, ecc.), supporti alle imprese per attività di stage ed apprendistato rivolte a neo diplomati o laureati, supporti alle imprese per incoraggiare l’assunzione di giovani anche senza pregressa esperienza, supporti a giovani che abbiano perso il lavoro per essere rapidamente reinseriti nel mercato del lavoro.

 

  1. L’alta formazione, l’innovazione e lo sviluppo sostenibile

In Italia si è creato un ciclo vizioso che vede un sistema produttivo in maggioranza composto da aziende con basso livello tecnologico e dunque poco ricettivo nei confronti dei nuovi laureati e lo Stato che disinveste sia in R&S (Ricerca e Sviluppo), sia nell’educazione universitaria, per la quale l’Italia è all’ultimo posto in EU27 per la spesa pubblica. Questo genera tre risultati negativi: disincentiva i giovani diplomati dall’iscriversi all’università o terminare il corso intrapreso; si ha un numero di laureati e dottori di ricerca pari alla metà o meno rispetto ai Paesi più avanzati e si ha un alto tasso di disoccupazione fra i laureati (stimato al 15%).

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Questa situazione sconfortante, da una parte vede l’Italia al penultimo posto in EU27 per la percentuale di persone (entro i 34 anni) che hanno completato il ciclo di educazione terziaria e dall’altra un forte aumento dei diplomati e laureati che si sono trasferiti all’estero. Quest’ultimo fenomeno, che consiste in più di 60.000 giovani per anno che scelgono di emigrare, se si considera che il costo medio in Italia è di 164 mila euro per formare un laureato e 228 mila per un dottore di ricerca, si potrebbe equiparare ad un regalo all’estero di decine di migliaia Lamborghini ogni anno! Un simile fenomeno di migrazione avviene anche con il trasferimento di molti laureati e diplomati dal Sud alle regioni del Nord, impoverimento ulteriormente le nostre regioni già svantaggiate.

Sarebbe opportuno che le forze che ambiscono governare l’Italia abbiano la lungimiranza di dedicare davvero un’attenzione speciale a questi aspetti, che sono strategici per la competitività del sistema paese, ma anche per il concreto interesse delle giovani generazioni. Mi piacerebbe che qualcuno dei partiti lanci un Piano Straordinario per il Rinascimento dell’Italia nell’alta formazione e nella ricerca.

Concretamente un Piano del genere dovrebbe almeno prevedere di:

  • incrementare come minimo dello 0,1% all’anno la quota di PIL dedicata al settore della R&S e di altrettanto la quota di risorse per il sistema universitario;
  • riformare la governance del sistema R&S varando finalmente un’Agenzia nazionale, di cui si discute da tempo, in grado di coordinare e ripartire le risorse nelle aree più significative sia scientifiche sia produttive e supportare con priorità la crescita del sistema nel Meridione (per il quale occorrerebbe un piano di rilancio ad hoc);
  • favorire un maggior collegamento del sistema R&S con il sistema produttivo, sulla ricerca cooperativa su obiettivi competitivi e sulla promozione del trasferimento tecnologico attraverso un fertile ecosistema di spin-off in stretto contatto con gli atenei;
  • supportare le imprese nell’assunzione di giovani laureati e diplomati con livelli stipendiali comparabili con la media europea;
  • impostare un supporto preferenziale ai settori della R&S specificatamente dedicati agli ambiti scientifici e tecnologici collegati con i goal dell’Agenda 2030 e con i significativi cambiamenti da promuovere;
  • premiare le imprese che affrontino concretamente le indicazioni previste da Agenda 2030 introducendo significativi miglioramenti produttivi ed organizzativi compatibili con lo sviluppo sostenibile.

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